La pietra e la luce. Figura dell'impenetrabile, interamente chiusa in se stessa, la pietra oppone una sorda resistenza alla vita, che è apertura, movimento, metamorfosi. Viceversa la luce è per sua natura effusiva: come la vita, appunto. Ma si può anche dire che la pietra rappresenta l'elemento materiale della vita, la luce l'elemento spirituale, oppure il polo negativo, la pietra, e il polo positivo, la luce.

                Enrico Savelli non si arresta di fronte a questa polarità. Operando per sottrazione, egli scava nel marmo fino a raggiungere il punto di trasparenza, in modo che la luce possa irradiare dal cuore della pietra. Ne scopre contorni purissimi e misteriosi. Rivela trame nascoste. Quasi che la materia si facesse cosa interiore, cosa dello spirito.

                Da dove, quella luce? E' nella pietra, o altrove, la fonte luminosa? Evidentemente altrove. Impedita, ostacolata, la luce trova la sua strada e attraversa il velo marmoreo in forza del lavoro dello scultore. Accade tuttavia qualcosa d'imprevisto. Il contatto fra luce e pietra origina una nuova accensione. Il marmo diventa fonte luminosa.

                Che cosa significa questo paradosso? Come interpretare l'evento del farsi luce nel buio della pietra? Quale mito, quale racconto si nasconde qui? La luce che scende dall'alto è catturata dalla materia, fatta prigioniera… Potrebbe però anche essere che la pietra sia luce cristallizzata, pietrificata. O che luce e pietra risultino in fondo convertibili l'una nell'altra, come lo spirito nella materia e la materia nello spirito. Lo scultore però lascia che sia il teologo a decifrare e a tradurre in concetti la simbologia cui allude il racconto mitico. Suo compito è un altro. Gnostico cristiano in incognito, Savelli cerca nella pietra il segreto della luce, nella luce il segreto della pietra - e liberando la luce dalla pietra, libera la potenza senza nome che le tiene avvinte l'una all'altra. 

Sergio Givone

Docente di Estetica,Università di Firenze 



                

 Enrico Savelli fu inizialmente per me una sorpresa .Usciva dal suo segreto , scultore compiuto. Raffinatezza di esecuzione plastica e maturità di pensiero e di osservazione erano già nel pieno al momento del loro rilevarsi-almeno a me.   Questo non esclude che la passione di Enrico abbia avuto il suo paziente e ostinato tirocinio nello studio e nella interpretazione dei modelli classici e recenti . La sua arte è colta - naturaliter colta- e dunque selettiva, non manifesta incertezze né dispersioni in fatto di linguaggio, raggiunge presto uno stile.

   Più tormentata invece la progressione concettuale del suo cammino.La spiritualità erompente dell'artista sublimava,per così dire i profili,le forme e i lineamenti degli oggetti - persone e cose - del suo lavoro, più tardi il prepotere simbolico che Enrico scopriva al fondo della sua ispirazione ebbe bisogno di esprimersi con invenzioni visibili a complemento della figura .Questi complementi non sempre integravano la sostanza ell'opera, rimanevano  al suo esterno come cartigli .Questo mi ha, devo dire,talvolta un po' disorientato.

  Ma una più recente fase, proprio questa che viene presentata , forza il simbolismo fino a farne una dichiarata mistagogia : semplice, se vogliamo, ma perentoria . L'arte di Enrico è ora implicata in una operazione che la trascende, fa parte di un principio che si va rivelando e che essa custodisce in sé come tesoro. La morfologia della scultura è fedele a se stessa, ma essa è portatrice del Verbo che contiene e per  mezzo suo parla a chi guarda.

                                   Mario Luzi , Poeta






















































 
 
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